Un
pacco piuttosto grande viene consegnato nella dimora della famiglia
Black-King in quel di New Orleans, poco più di due metri di lunghezza
per un metro e trenta di altezza circa.
Al suo interno,
accuratamente imballata, è presente una memories board di legno e
sughero, intagliata lungo i bordi con un motivo geometrico triangolare.
E'
divisa in verticale in due sezioni, e la parte sinistra è ornata in
cima da un cartello di legno su cui è stato inciso a fuoco: "Mom and Dad
did...". Al di sotto del cartello sono raccolti numerosi articoli di
giornale, tutti plastificati per resistere nel tempo, attaccati con le
punesse: è una raccolta pressochè completa di tutte le menzioni di
Rebecca King e Lucas Black che sono state fatte dai giornali di
Philadelphia.
Nella parte a destra vi è un cartello a mo di titolo
non dissimile da quello a sinistra che recita tuttavia: "I did...". Al
di sotto, nel sughero, sono solo infilate numerosissime punesse: lo
spazio è vuoto perchè, crescendo, la piccola Black possa riempirlo coi
suoi traguardi.
Non ci sono biglietti ad accompagnare il dono, ma è stato semplicemente firmato "Max Lee".
"Work hard in silence, and let your success be the noise."
E' un uomo complesso, composto da chiaroscuri decisi, molte ombre e infiniti contrasti. Lo è sempre stato, e ad un certo punto della sua vita ha portato l'arte della contrapposizione ad un livello superiore. Il suo più grande successo risiede nell'essere diventato -all'esterno- la personificazione della calma e nascondere in essa la sua vera natura. Sembra un uomo quieto; con movimenti pacati e sciolti che solo in caso di necessità ne rivelano la muscolatura scattante, altamente reattiva.
I suoi silenzi sono un imbroglio. Forse il suo scherzo meglio riuscito. Usa il silenzio come un cappotto confortevole; una zona di conforto in cui centellinare parole e limitarsi all'indispensabile, così da lasciare la sua mente libera di vagare in mille direzioni diverse. Il silenzio è un' arma: induce altri ad esporsi, anche solo tramite le loro domande. Rende complesso il processo di conoscenza. Il silenzio è potere: talvolta induce disagio. Stabilisce confini privati di autoprotezione alimentati da un istinto di sopravvivenza antico, sanguigno. Elabora piani d'azione nei meandri di un intelletto sempre in movimento, in contrasto con i muscoli tenuti in stato di quiete fino a quando non si renda necessario un intervento diverso.
Pianifica. Elabora. Sperimenta prima con la testa e poi con il corpo. Come Rebecca non sembra in grado di restare ferma per più di cinque minuti senza soffrire, per Lucas Black diventa complicato non essere in grado di passare da uno stato di quiete -non importa quanto prolungata sia- all'esperienza fisica e materiale.
Il silenzio è un amico fedele, in cui inseguire mille riflessioni diverse sino al momento in cui sia possibile decidere una strada -tra le tante- da percorrere. Ed è in quel momento, nell'attimo in cui la quiete si spezza a favore dell'azione, che il vuoto di parole assume contorni roboanti.
Persino quando osserva i documentari naturalistici di cui è appassionato non lo fa con mente quieta, ma con l'indole di un predatore che ne studia altri ed assorbe, impara, memorizza.
Osserva le tecniche di caccia dell'orso bianco, che attira le foche in superficie battendo sul ghiaccio e poi le ghermisce con artigli letali, assimilandole nella sua mente alle trappole preparate per attirare criminali allo scoperto. Studia il comportamento dei Lupi, che si muovono in branco e mandano avanti i fratelli più deboli, che costituiscano la prima barriera nei confronti di predatori affamati, e concedano dunque al resto del branco di intervenire per sancirne la supremazia.
Analizza le somiglianze tra le tattiche di accerchiamento degli squali e degli orsi bruni. La furbizia dell'orso canadese che si ciba di salmoni, spesso non dovendo fare altro che spalancare le fauci ed attendere che il pesce vi salti da solo durante la sua corsa per la riproduzione. Da ogni predatore, da ogni situazione, da ogni comportamento animale che riesca ad osservare con attenzione lui assorbe qualcosa, da trasportare nella sua esperienza vitale. Da riutilizzare nell'esercizio delle sue funzioni.
Lucas Black giace immobile in un letto d'ospedale da quasi 70 ore: il silenzio, da alleato, si sta trasformando in una prigione. Non c'è possibilità di sperimentare nulla, di esperire nulla; non può mutare da uno stato di quiete ad uno stato di azione: è, semplicemente, inerte. Una condizione logorante, capace di alimentare angosce e timori estremamente difficili da tenere a bada. La frustrazione e l'impotenza rendono la mente meno lucida, fiaccano lo spirito, lo traggono in inganno; lo inducono a paventare gli scenari peggiori per pianificare le azioni successive e ideare soluzioni alternative. Nessuna delle quali si rivela ideale. Tale insoddisfacente risultato lo porta inevitabilmente a considerare piani alternativi, con finali discutibili e pieni di ombre.
Lucas Black è immerso nel suo incubo peggiore, e non è ancora riuscito a trovare la chiave necessaria ad uscirne. Nemmeno l'odio viscerale e sincero che gli incendia le vene e gli riempie la testa con tetri propositi di vendetta non è sufficiente a spezzare le catene invisibili che lo trattengono. Prigioniero di un corpo fallibile e spezzato, sa esattamente ciò che vuole ottenere -arriva persino a strappare promesse impossibili alla Dottoressa che lo segue- ma non sa più quale sia il percorso utile al raggiungimento dell'obiettivo.
Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King. Tornare a combattere. Fare giustizia.
Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King. Tornare a combattere.
Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King.
Sposare Rebecca King.
Una parte di lui si chiede se questa condizione non sia il semplice risultato di tutti i suoi peccati. Il capriccio del destino; la richiesta di un'espiazione ben più dura e feroce di quella che lui già si impone ogni giorno. Una parte di lui non vuole davvero una risposta a questa domanda: può ambire davvero alla felicità? O si tratta solo di mere illusioni strappate coi denti ad una realtà di tutt'altra opinione?
Preferisce concentrare le energie su altro ed isolarsi da quella realtà, per comunicare con se stesso:
"Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita..."
I was a stranger in my own skin
Seven layers graced and wearing thin
I was a stranger in my own skin To seven layers I've been hiding in
Cyrus è seduto accano al letto, e fa di tutto per dominare la tensione nervosa. Non vuole farsi vedere da Lucas.
- Non preoccuparti per i cani. Ci penso io. Tu pensa solo a rimetterti e prepararti al matrimonio. - ...sempre che riesca a rimettermi in piedi. - Non ci provare nemmeno, Black. Tu non ti puoi arrendere, hai capito? Promettimelo!
Lucas vede l'amico scattare in piedi, spingergli addosso tutta la sua determinazione. Immobilizzato in un letto come una marionetta cui abbiano tagliato i fili, tiene lo sguardo verso l'alto, incollato al profilo di Cyrus. Il silenzio è lungo e rumoroso come il più roboante dei tuoni.
Con il collo e la testa bloccati dal collare chirurgico, l'unico segno di assenso che può donargli è un battito delle palpebre.
- I promise.
***
- I kinda made a deal, with god. Prayed for you. For us.
Rebecca è nel letto accanto al suo, avvicinato così tanto che sembrano gli ospiti di una suite matrimoniale dell'ospedale. Riesce a percepire la portata del suo affetto attaverso ogni tocco che gli regala sul viso, con una costanza nuova e capace di commuoverlo. Lo rapisce al punto tale da fargli quasi dimenticare il vero incubo che sta vivendo, almeno per un po'.
- Sposiamoci ora. Qui, tanto pare che hai ritrovato la fede, ah?
- Sì. ...Prima però lascia che riesca a muovere almeno un alluce. Voglio portarti in piedi, all'altare. E godermi la prima notte di nozze.
- Mi piacciono i grandi spazi. E abbiamo due cani.
- ...ma poi l'hai visto il prezzo?
- ...ho dei soldi da parte. E possiamo affittare la casa in Appleby Street. E tu volevi gli alberi, guarda quanti alberi.
- Ci sono anche in quella con il ruscelletto.
- Non è la stessa cosa. Guarda queste stanze, il camino...i pavimenti. Non ho mai visto un pavimento così, prima. E che panorama.
***
- E' un fottuto telepate, Becks. Fidati di me! Laggiù!
Rebecca smuove occhiate guardinghe tra bersagli che lui non può vedere. Lucas indica le ombre: un punto sopraelevato a cinquanta metri da loro, oltre i tetti dei container che racchiudono l'arteria in cui stavano camminando di ronda. Al momento non gli interessa pensare che il loro assalitore li abbia sentiti parlare dei loro piani per il futuro. Riesce solo a pensare con odio vivo e feroce a quel Telepate che si è intrufolato nella mente di sua moglie -non la è ancora, eppure per lui è già così- e ha cercato di fottere anche la sua.
Poi gli spari. la raffica di proiettili gli sibila sopra la testa e lui si getta a terra, costretto dalle circostanze ad offrire la schiena agli assalitori.
- Io quello grosso.
Gli dice lei, e Lucas annuisce, schivando il primo assalto e poi sferrando il più letale dei contrattacchi a sua disposizione sul velocista. Manca il bersaglio e sgrana gli occhi; lo sgomento si impossessa del respiro insieme ad una furia incalzante e al timore di non riuscire a proteggerla; di non riuscire a restare; di non riuscire a darle ciò che le ha promesso.
Pochi minuti dopo, il colosso mutante che è riuscito ad immobilizzarlo lo tiene in una morsa spietata, spezzandogli un osso dopo l'altro mentre il velocista gli imprime la sua lama sulla schiena. Quando tutto inizia a farsi buio, nelle narici ha il profumo del sangue
di Rebecca e l'eco degli spari incastrati nella gabbia delle costole. Le energie residue prima di arrendersi definitivamente le spende per cercare di sparare un'ultima volta, e cercare lei con lo sguardo. Vederla; desiderare di trascorrere tutto il resto della vita insieme a lei e osservare quella vita scorrergli nella mente come un film avanti veloce. Lanciare fiammeggianti sfide a qualunque sia il dio che lo vuole impedire.
E' la sua immagine che ha stampata ancora negli occhi quando le palpebre calano come il sipario di un teatro.
***
- Rebecca? Do'v'è Rebecca? REBECCA!
Gli infermieri e i paramedici gli dicono di stare calmo. Lui ha ancora il suo profumo nelle narici e quando ruota il capo la vede, pallida come se fosse morta, con tanto sangue intorno che si chiede quanto gliene sia rimasto nelle vene. Qualcuno lo ferma subito, impedendogli di muoversi come vorrebbe.
- Rebecca, rispondimi! Non mi...fatemi alzare, devo vederla devo ved...
E' nel tentare di muoversi ancora che se ne rende conto: non sente nulla. Non prova dolore. Non ha sensibilità se non sul viso. E di certo non ha padronanza del suo corpo. E' stato soldato troppo a lungo per non sapere cosa questo significhi e il silenzio feroce con cui fissa il paramedico chino sopra di lui è ricco di un esercito di paure quasi impossibili da sconfiggere.
-Stia calmo, agente Black. Ora le diamo qualcosa per tranquillizzarla, va bene? La Direttrice sta ricevendo tutte le cure del caso, e noi pensiamo a lei.
Molte ore dopo, Lucas Black è ancora prigioniero di una veglia ostinata. Incapace di arrendersi all'effetto del più potente dei sedativi a disposizione e costretto in un letto d'ospedale, tiene gli occhi fissi al soffitto e si domanda se tornerà mai ad essere un uomo intero.
Non gli importa davvero, se lei riuscirà a vivere. Per la prima volta da quando è morto suo padre, mentre sogni intimi si sgretolano dentro di lui come cristalli troppo delicati, Lucas prega un dio in cui non crede più, chiedendo un miracolo che possa convincerlo a ricominciare.
Are you, are you Coming to the tree Where I told you to run, So we'd both be free. Strange things did happen here No stranger would it be If we met at midnight In the hanging tree.
Are you, are you Coming to the tree Wear a necklace of hope, Side by side with me. Strange things did happen here No stranger would it be If we met at midnight
La Dottoressa Sharon Brewster ha una bassa voce morbida, accomodante quando l'invito che gli ha appena offerto. Si è sempre chiesto se sia una caratteristica naturale oppure se Sharon Brewster si sia impegnata a beneficio dei suoi pazienti.
La stanza è luminosa, di pianta quadrata, con grandi finestre che si affacciano sul Logan Circle, quadri pieni di colore alle pareti e una libreria ordinata: tutto sapientemente mescolato con colori tenui e tinte pastello che invitano alla calma quanto la fontana nebulizzatrice che spande un lieve aroma di lavanda nell'aria.
Lucas oltrepassa il tavolino su cui poggia un vaso di orchidee bianche e si siede sul divano scuro, fronteggiando la poltrona su cui si è accomodata lei. E' silenzioso, come ogni volta quando mette piede lì dentro: è obbligato ad andare, ma non muore dalla voglia di parlare.
Si è tolto la divisa e, benché sia armato, sono abiti civili quelli che sfoggia adesso: sotto la giacca di pelle, spunta il colletto della camicia azzurra che gli ha regalato Rebecca tempo prima.
Seduto composto, con il busto eretto ed i piedi ben piantati a terra fa scorrere i palmi sulle cosce, strofinandoli sul tessuto dei jeans. Gli occhi grigi viaggiano per qualche istante sui dettagli dello studio, poi si abbattono sul viso della Dottoressa.
- Non possiamo trascorrere la prossima ora in silenzio. Questo lo sa.
Sharon Brewster gli ripete le stesse cose ogni settimana, da quando è tornato. E' già stata assegnata a lui altre volte in passato, ma in questo frangente le cose si sono fatte più complesse, ed è chiara la preoccupazione che le viaggia nello sguardo, dietro le lenti degli occhiali da vista.
Lucas la guarda e tace: non è ostilità, e nemmeno ostinazione. Si tratta piuttosto di un serio problema di comunicazione, che di norma riuscirebbe a superare pur con fatica, ma in questo frangente risulta decisamente ostico.
- Lei può parlare.
Le risponde, dopo un po'. Non c'è ironia nella voce, e sembra assolutamente serio anche nell'espressione. L'atteggiamento poco rilassato, di chiusura, è denotato dalle braccia annodate sul petto. Gli occhi vigilano mobili sul viso della Dottoressa, che gli sorride e scuote la testa, mentre boccoli biondi sfuggono al chignon e le ricadono lungo le gote.
- Va bene. Facciamo così: check generale?
- ...alright.
Domande mirate, a cui rispondere onestamente. Una check list che può affrontare, o così pare.
- Come vanno le cose al lavoro?
- Nel mio lavoro non va mai bene, Doc.
- Certo. Ma come si trova con il suo rientro? Si sta inserendo?
- Sì. Sto lavorando.
- Come si trova coi colleghi, vecchi e nuovi?
- Tutto normale.
- Nessun problema di inserimento?
- Non mi pare.
- Ha fatto nuove amicizie?
- Ho conosciuto nuovi colleghi.
- Qualcuno che le piacerebbe frequentare?
- Sa già chi mi piace frequentare. Nulla di nuovo. Well, forse uno.
- Forse?
- Sul lavoro non c'è tempo di socializzare troppo.
- Ma con Rebecca lo ha fatto.
- Con lei è diverso. L'ho incontrata prima.
- Mh. E come vanno le cose tra voi, adesso?
- Bene.
C'è la solita sintesi, ma anche una convinzione nuova, che la Dottoressa non fatica ad individuare.
- E' successo qualcosa di nuovo, con Rebecca?
- Sì.
Ora Lucas sembra quasi sorridere. E' una curva così rapida e scivolosa che a Sharon Brewster sembra quasi averlo immaginato. Ma riesce a raccogliere la provocazione e continua, pazientemente, ad inondarlo di domande come se fossero gocce sulla roccia.
- Che cosa?
- Le ho chiesto di sposarmi. E mi ha detto di sì.
Sharon Brewster è sorpresa, e non lo nasconde. Lo osserva a lungo, piegando la testa di lato in modo quasi impercettibile. Come chi abbia davanti un rompicapo che lascia confusi, e allo stesso tempo scatena l'interesse.
- Questa è una ottima notizia. Congratulazioni, Agente Black. Sembra che lei abbia superato la sua paura.
- Grazie. ...Aspetti a farmele quando saremo sposati.
- Ha dei dubbi al riguardo?
- Assolutamente nessuno. Ma i guai sono sempre dietro l'angolo.
- Abbiamo già parlato di questo suo atteggiamento negativo. Non l'aiuterà a lasciarsi alle spalle quello che è accaduto.
Lucas Black si irrigidisce, perdendo ogni traccia di quella morbidezza che il pensiero di Rebecca gli aveva instillato sotto pelle.
- Perché non è possibile farlo.
- Deve farlo, Agente Black. O continuerà a consumarsi, e a non dormire, fino a quando non riuscirà più svolgere il suo lavoro. E' questo che vuole?
- Ci sono cose che non possono essere semplicemente dimenticate.
- Nessuno le chiede di dimenticare. Ma io ho letto il suo fascicolo, e lei non ha assolutamente nulla di cui biasimarsi.
- Questo lo dice lei.
- Lo dico io, e lo dicono tutti i suoi superiori, e chiunque abbia una security clearance che possa fornire dettagli su quanto accaduto. Lei ha svolto il suo compito e ha agito in modo da preservare la sua vita e quella dei suoi compagni.
- Ho fatto quel che dovevo. Non significa che sia stato giusto.
E' ormai notte fonda quando fa ritorno ad Appleby Street, dopo una lunga giornata trascorsa tenendo la mente occupata col lavoro. Apre la porta con calma e per un attimo gli sembra di sentire il profumo di Rebecca, mescolato alle fiamme del camino che -per un certo periodo- ammiravano insieme ogni sera prima di andare a dormire.
Il camino è acceso e c'è qualcuno seduto sul divano, ma non è Rebecca.
A salutarlo per primo non è comunque la figura dormiente, ma un ammasso di muscoli e pelo che arriva a picchiargli il tartufo umido contro la gamba.
-Hey, buddy.
Si piega sulle ginocchia, lento ma senza timori. La cautela rispettosa dovuta alle esperienze dell'animale si è sciolta pian piano, raggiungendo la confidenza sciolta che si sviluppa tra due compagni d'arme dopo un difficile percorso insieme. Non lo ammetterebbe mai facilmente e ad alta voce, ma si è affezionato al cane non appena lo ha visto.
"Questa casa è troppo grande per noi due soli. Ho deciso che prenderemo due cani."
La voce di Rebecca emerge dai sui ricordi, strappandogli un sorriso pieno di dolore. Prende tra le mani il muso del cane e si china, poggiando con la fronte su quella pelosa dell'animale.
"Una è una trovatella abbandonata, l'ho trovata al canile. Poi c'è un pitbull: lo hanno salvato dai combattimenti clandestini ed è un cane difficile, ma noi lo prenderemo. Perché tu hai bisogno di credere che ci sia una possibilità di redenzione. Che si può cambiare, si può imparare ad essere migliori. Che non è tutto nero o bianco senza via di salvezza."
L'american pitbull lo guarda: negli occhi azzurri sembra viaggiare una consapevolezza umida che non ha bisogno di parole. E' come se sapesse. Come se Duke percepisse il suo dolore e di certo può percepire l'assenza di Rebecca, da una casa che lei ha lasciato perché Lucas non era stato in grado di capire.
In realtà si sono trovati: l'avvicinamento tra uomo e animale è stato un processo lento; figlio dell'istinto e del reciproco riconoscimento. Hanno entrambi troppe cicatrici sul corpo e ancora di più sotto la pelle, invisibili all'occhio. Entrambi tendono a non fidarsi degli sconosciuti: l'addestramento alla famigliarità è stato lungo, faticoso. E' arrivato a chiudersi nella sua gabbia con lui e mangiare da una ciotola uguale a quella per Duke, per spingerlo ad avvicinarsi senza troppa paura.
Duke non ha mai legato veramente con Mags -la trovatella adottata da Rebecca-, ma ha sofferto la mancanza di Lucas ogni giorno dopo la sua partenza.
Non è un caso che lei lo abbia invitato a riprenderlo con sé, pur temporeggiando sul suo invito a tornare a dividere la stessa casa.
"Diamoci tempo. Non...voglio abituarmi ancora a dormire insieme a te e aspettare che tu sparisca di nuovo."
Il destino ha uno strano senso dell'umorismo, e mentre Liam O'Connell si desta e si alza dal divano, mugugnando qualcosa sul ritardo dell'amico, Lucas Black pensa alla crudeltà insopportabile di una vita senza di lei.
"Resta qui. Per favore ti voglio qui." Gli ha detto, nel soggiorno della sua casa tutta spigoli e linee rette che Lucas ha odiato dal primo istante.
E' rimasto. Ha scelto lei, perché non esiste altra scelta possibile.
Non immaginava che sarebbe stata lei a sparire, solo pochi giorni dopo.