domenica 15 maggio 2016

The sound of silence


 "Work hard in silence, and let your success be the noise."


E' un uomo complesso, composto da chiaroscuri decisi, molte ombre e infiniti contrasti. Lo è sempre stato, e ad un certo punto della sua vita ha portato l'arte della contrapposizione ad un livello superiore. Il suo più grande successo risiede nell'essere diventato -all'esterno- la personificazione della calma e nascondere in essa la sua vera natura. Sembra un uomo quieto; con movimenti pacati e sciolti che solo in caso di necessità ne rivelano la muscolatura scattante, altamente reattiva.
I suoi silenzi sono un imbroglio. Forse il suo scherzo meglio riuscito. Usa il silenzio come un cappotto confortevole; una zona di conforto in cui centellinare parole e limitarsi all'indispensabile, così da lasciare la sua mente libera di vagare in mille direzioni diverse. Il silenzio è un' arma: induce   altri ad esporsi, anche solo tramite le loro domande. Rende complesso il processo di conoscenza. Il silenzio è potere: talvolta induce disagio. Stabilisce confini privati di autoprotezione alimentati da un istinto di sopravvivenza antico, sanguigno. Elabora piani d'azione nei meandri di un intelletto sempre in movimento, in contrasto con i muscoli tenuti in stato di quiete fino a quando non si renda necessario un intervento diverso.
Pianifica. Elabora. Sperimenta prima con la testa e poi con il corpo. Come Rebecca non sembra in grado di restare ferma per più di cinque minuti senza soffrire, per Lucas Black diventa complicato  non essere in grado di passare da uno stato di quiete -non importa quanto prolungata sia- all'esperienza fisica e materiale.
Il silenzio è un amico fedele, in cui inseguire mille riflessioni diverse sino al momento in cui sia possibile decidere una strada -tra le tante- da percorrere. Ed è in quel momento, nell'attimo in cui la quiete si spezza a favore dell'azione, che il vuoto di parole assume contorni roboanti. 

Persino quando osserva i documentari naturalistici di cui è appassionato non lo fa con mente quieta, ma con l'indole di un predatore che ne studia altri ed assorbe, impara, memorizza. 
Osserva le  tecniche di caccia dell'orso bianco, che attira le foche in superficie battendo sul ghiaccio e poi le ghermisce con artigli letali, assimilandole nella sua mente alle trappole preparate per attirare criminali allo scoperto. Studia il comportamento dei Lupi, che si muovono in branco e mandano avanti i fratelli più deboli, che costituiscano la prima barriera nei confronti di predatori affamati, e concedano dunque al resto del branco di intervenire per sancirne la supremazia.
Analizza le somiglianze tra le tattiche di accerchiamento degli squali e degli orsi bruni. La furbizia dell'orso canadese che si ciba di salmoni, spesso non dovendo fare altro che spalancare le fauci ed attendere che il pesce vi salti da solo durante la sua corsa per la riproduzione. Da ogni predatore, da ogni situazione, da ogni comportamento animale che riesca ad osservare con attenzione lui assorbe qualcosa, da trasportare nella sua esperienza vitale. Da riutilizzare nell'esercizio delle sue funzioni.

Lucas Black giace immobile in un letto d'ospedale da quasi 70 ore: il silenzio, da alleato, si sta trasformando in una prigione. Non c'è possibilità di sperimentare nulla, di esperire nulla; non può mutare da uno stato di quiete ad uno stato di azione: è, semplicemente, inerte. Una condizione logorante, capace di alimentare angosce e timori estremamente difficili da tenere a bada. La frustrazione e l'impotenza rendono la mente meno lucida, fiaccano lo spirito, lo traggono in inganno;  lo inducono a paventare gli scenari peggiori per pianificare le azioni successive e ideare soluzioni alternative. Nessuna delle quali si rivela ideale. Tale insoddisfacente risultato lo porta inevitabilmente a considerare piani alternativi, con finali discutibili e pieni di ombre.

Lucas Black è immerso nel suo incubo peggiore, e non è ancora riuscito a trovare la chiave necessaria ad uscirne. Nemmeno l'odio viscerale e sincero che gli incendia le vene e gli riempie la testa con tetri propositi di vendetta non è sufficiente a spezzare le catene invisibili che lo trattengono. Prigioniero di un corpo fallibile e spezzato, sa esattamente ciò che vuole ottenere -arriva persino a strappare promesse impossibili alla Dottoressa che lo segue- ma non sa più quale sia il percorso utile al raggiungimento dell'obiettivo.

Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King. Tornare a combattere. Fare giustizia.

Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King. Tornare a combattere.

Alzarsi. Camminare. Sposare Rebecca King.

Sposare Rebecca King.


Una parte di lui si chiede se questa condizione non sia il semplice risultato di tutti i suoi peccati. Il capriccio del destino; la richiesta di un'espiazione ben più dura e feroce di quella che lui già si impone ogni giorno. Una parte di lui non vuole davvero una risposta a questa domanda: può ambire davvero alla felicità? O si tratta solo di mere illusioni strappate coi denti ad una realtà di tutt'altra opinione?

Preferisce concentrare le energie su altro ed isolarsi da quella realtà, per comunicare con se stesso: 
"Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita.  Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita. Dì al tuo cervello, di dire al tuo braccio, di dire alla tua mano, di muovere le dita..."





 I was a stranger in my own skin
Seven layers graced and wearing thin
I was a stranger in my own skin
To seven layers I've been hiding in









sabato 14 maggio 2016

High Hopes


Cyrus è seduto accano al letto, e fa di tutto per dominare la tensione nervosa. Non vuole farsi vedere da Lucas.

- Non preoccuparti per i cani. Ci penso io. Tu pensa solo a rimetterti e prepararti al matrimonio.
- ...sempre che riesca a rimettermi in piedi.
- Non ci provare nemmeno, Black. Tu non ti puoi arrendere, hai capito? Promettimelo!

Lucas vede l'amico scattare in piedi, spingergli addosso tutta la sua determinazione. Immobilizzato in un letto come una marionetta cui abbiano tagliato i fili, tiene lo sguardo verso l'alto, incollato al profilo di Cyrus. Il silenzio è lungo e rumoroso come il più roboante dei tuoni.
Con il collo e la testa bloccati dal collare chirurgico, l'unico segno di assenso che può  donargli è un battito delle palpebre.

- I promise.



***

- I kinda made a deal, with god. Prayed  for you. For us.

Rebecca è nel letto accanto al suo, avvicinato così tanto che sembrano gli ospiti di una suite matrimoniale dell'ospedale. Riesce a percepire la portata del suo affetto attaverso ogni tocco che gli regala sul viso, con una costanza nuova e capace di commuoverlo. Lo rapisce al punto tale da fargli quasi dimenticare il vero incubo che sta vivendo, almeno per un po'.

- Sposiamoci ora. Qui, tanto pare che hai ritrovato la fede, ah?
- Sì. ...Prima però lascia che riesca a muovere almeno un alluce. Voglio portarti in piedi, all'altare. E godermi la prima notte di nozze.
- Ecco... Parlami della prima notte di nozze.









 

venerdì 13 maggio 2016

Illusions



- ...ma, sei sicuro? Questa casa è enorme.
- Mi piacciono i grandi spazi. E abbiamo due cani.
- ...ma poi l'hai visto il prezzo?
- ...ho dei soldi da parte. E possiamo affittare la casa in Appleby Street. E tu volevi gli alberi, guarda quanti alberi.
- Ci sono anche in quella con il ruscelletto.
- Non è la stessa cosa. Guarda queste stanze, il camino...i pavimenti. Non ho mai visto un pavimento così, prima. E che panorama.



  
***


- E' un fottuto telepate, Becks. Fidati di me! Laggiù!

Rebecca smuove occhiate guardinghe tra bersagli che lui non può vedere. Lucas indica le ombre: un punto sopraelevato a cinquanta metri da loro, oltre i tetti dei container che racchiudono l'arteria in cui stavano camminando di ronda. Al momento non gli interessa pensare che il loro assalitore li abbia sentiti parlare dei loro piani per il futuro. Riesce solo a pensare con odio vivo e feroce a quel Telepate che si è intrufolato nella mente di sua moglie -non la è ancora, eppure per lui è già così- e ha cercato di fottere anche la sua.

Poi gli spari. la raffica di proiettili gli sibila sopra la testa e lui si getta a terra, costretto dalle circostanze ad offrire la schiena agli assalitori.

- Io quello grosso.

Gli dice lei, e Lucas annuisce, schivando il primo assalto e poi sferrando il più letale dei contrattacchi a sua disposizione sul velocista. Manca il bersaglio e sgrana gli occhi; lo sgomento si impossessa del respiro insieme ad una furia incalzante e al timore di non riuscire a proteggerla; di non riuscire a restare; di non riuscire a darle ciò che le ha promesso.

Pochi minuti dopo, il colosso mutante che è riuscito ad immobilizzarlo lo tiene in una morsa spietata, spezzandogli un osso dopo l'altro mentre il velocista gli imprime la sua lama sulla schiena. Quando tutto inizia a farsi buio, nelle narici ha il profumo del sangue  di Rebecca e l'eco degli spari incastrati nella gabbia delle costole. Le energie residue prima di arrendersi definitivamente le spende per cercare di sparare un'ultima volta, e cercare lei con lo sguardo. Vederla;  desiderare di trascorrere tutto il resto della vita insieme a lei e osservare quella vita scorrergli nella mente come un film avanti veloce. Lanciare fiammeggianti sfide a qualunque sia il dio che lo vuole impedire.
E' la sua immagine che ha stampata ancora negli occhi quando le palpebre calano come il sipario di un teatro.




***


- Rebecca? Do'v'è Rebecca? REBECCA!

Gli infermieri e i paramedici gli dicono di stare calmo. Lui ha ancora il suo profumo nelle narici e quando ruota il capo la vede, pallida come se fosse morta, con tanto sangue intorno che si chiede quanto gliene sia rimasto nelle vene. Qualcuno lo ferma subito, impedendogli di muoversi come vorrebbe.

- Rebecca, rispondimi! Non mi...fatemi alzare, devo vederla devo ved...
 

E' nel tentare di muoversi ancora che se ne rende conto: non sente nulla. Non prova dolore. Non ha sensibilità se non sul viso. E di certo non ha padronanza del suo corpo. E' stato soldato troppo a lungo per non sapere cosa questo significhi e il silenzio feroce con cui fissa il paramedico chino sopra di lui è ricco di un esercito di paure quasi impossibili da sconfiggere.

-Stia calmo, agente Black. Ora le diamo qualcosa per tranquillizzarla, va bene? La Direttrice sta ricevendo tutte le cure del caso, e noi pensiamo a lei.

Molte ore dopo, Lucas Black è ancora prigioniero di una veglia ostinata. Incapace di arrendersi all'effetto del più potente dei sedativi a disposizione e costretto in un letto d'ospedale, tiene gli occhi fissi al soffitto e si domanda se tornerà mai ad essere un uomo intero.

Non gli importa davvero, se lei riuscirà a vivere. Per la prima volta da quando è morto suo padre, mentre sogni intimi si sgretolano dentro di lui come cristalli troppo delicati, Lucas prega un dio in cui non crede più, chiedendo un miracolo che possa convincerlo a ricominciare.  






Are you, are you
Coming to the tree
Where I told you to run,
So we'd both be free
.
Strange things did happen here
No stranger would it be
If we met at midnight
In the hanging tree.

Are you, are you
Coming to the tree
Wear a necklace of hope,
Side by side with me.

Strange things did happen here
No stranger would it be
If we met at midnight
In the hanging tree.





giovedì 12 maggio 2016

martedì 10 maggio 2016

Oh darling, what have I done

Philadelphia; maggio 2014



- Si accomodi, agente Black.


La Dottoressa Sharon Brewster ha una bassa voce morbida, accomodante quando l'invito che gli ha appena offerto. Si è sempre chiesto se sia una caratteristica naturale oppure se Sharon Brewster si sia impegnata a beneficio dei suoi pazienti.

La stanza è luminosa, di pianta quadrata, con grandi finestre che si affacciano sul Logan Circle, quadri pieni di colore alle pareti e una libreria ordinata: tutto sapientemente mescolato con colori tenui e tinte pastello che invitano alla calma quanto la fontana nebulizzatrice che spande un lieve aroma di lavanda nell'aria.
Lucas oltrepassa il tavolino su cui poggia un vaso di orchidee bianche e si siede sul divano scuro, fronteggiando la poltrona su cui si è accomodata lei. E' silenzioso, come ogni volta quando mette piede lì dentro: è obbligato ad andare, ma non muore dalla voglia di parlare.
Si è tolto la divisa e, benché sia armato, sono abiti civili quelli che sfoggia adesso: sotto la giacca di pelle, spunta il colletto della camicia azzurra che gli ha regalato Rebecca tempo prima.
Seduto composto, con il busto eretto ed i piedi ben piantati a terra fa scorrere i palmi sulle cosce, strofinandoli sul tessuto dei jeans. Gli occhi grigi viaggiano per qualche istante sui dettagli dello studio, poi si abbattono sul viso della Dottoressa.

- Non possiamo trascorrere la prossima ora in silenzio. Questo lo sa.

Sharon Brewster gli ripete le stesse cose ogni settimana, da quando è tornato. E' già stata assegnata a lui altre volte in passato, ma in questo frangente le cose si sono fatte più complesse, ed è chiara la preoccupazione che le viaggia nello sguardo, dietro le lenti degli occhiali da vista.
Lucas la guarda e tace: non è ostilità, e nemmeno ostinazione. Si tratta piuttosto di un serio problema di comunicazione, che di norma riuscirebbe a superare pur con fatica, ma in questo frangente risulta decisamente ostico.

- Lei può parlare.

Le risponde, dopo un po'. Non c'è ironia nella voce, e sembra assolutamente serio anche nell'espressione. L'atteggiamento poco rilassato, di chiusura, è denotato dalle braccia annodate sul petto. Gli occhi vigilano mobili sul viso della Dottoressa, che gli sorride e scuote la testa, mentre boccoli biondi sfuggono al chignon e le ricadono lungo le gote.

- Va bene. Facciamo così: check generale?
- ...alright.

Domande mirate, a cui rispondere onestamente. Una check list che può affrontare, o così pare.

- Come vanno le cose al lavoro?
- Nel mio lavoro non va mai bene, Doc.
- Certo. Ma come si trova con il suo rientro? Si sta inserendo?
- Sì. Sto lavorando.
- Come si trova coi colleghi, vecchi e nuovi?
- Tutto normale.
- Nessun problema di inserimento?
- Non mi pare.
- Ha fatto nuove amicizie?
- Ho conosciuto nuovi colleghi.
- Qualcuno che le piacerebbe frequentare?
- Sa già chi mi piace frequentare. Nulla di nuovo. Well, forse uno.
- Forse?
- Sul lavoro non c'è tempo di socializzare troppo.
- Ma con Rebecca lo ha fatto.
- Con lei è diverso. L'ho incontrata prima. 
- Mh. E come vanno le cose tra voi, adesso? 
- Bene.

C'è la solita sintesi, ma anche  una convinzione nuova, che la Dottoressa non fatica ad individuare.

- E' successo qualcosa di nuovo, con Rebecca?
- Sì.

Ora Lucas sembra quasi sorridere. E' una curva così rapida e scivolosa che a Sharon Brewster sembra quasi averlo immaginato. Ma riesce a raccogliere la provocazione e continua, pazientemente, ad inondarlo di domande come se fossero gocce sulla roccia.

- Che cosa?
- Le ho chiesto di sposarmi. E mi ha detto di sì.

Sharon Brewster è sorpresa, e non lo nasconde. Lo osserva a lungo, piegando la testa di lato in modo quasi impercettibile. Come chi abbia davanti un rompicapo che lascia confusi, e allo stesso tempo scatena l'interesse.

- Questa è una ottima notizia. Congratulazioni, Agente Black. Sembra che lei abbia superato la sua paura.
- Grazie. ...Aspetti a farmele quando saremo sposati.
- Ha dei dubbi al riguardo?
- Assolutamente nessuno. Ma i guai sono sempre dietro l'angolo.
- Abbiamo già parlato di questo suo atteggiamento negativo. Non l'aiuterà a lasciarsi alle spalle quello che è accaduto.

Lucas Black  si irrigidisce, perdendo ogni traccia di quella morbidezza che il pensiero di Rebecca gli aveva instillato sotto pelle.

- Perché non è possibile farlo. 
- Deve farlo, Agente Black. O continuerà a consumarsi, e  a non dormire, fino a quando non riuscirà più svolgere il suo lavoro. E' questo che vuole?
- Ci sono cose che non possono essere semplicemente dimenticate.
- Nessuno le chiede di dimenticare. Ma io ho letto il suo fascicolo, e lei non ha assolutamente nulla di cui biasimarsi.
- Questo lo dice lei.
- Lo dico io, e lo dicono tutti i suoi superiori, e chiunque abbia una security clearance che possa fornire dettagli su quanto accaduto. Lei ha svolto il suo compito e ha agito in modo da preservare la sua vita e quella dei suoi compagni.
- Ho fatto quel che dovevo. Non significa che sia stato giusto.







sabato 23 aprile 2016

You need to believe

E' ormai notte fonda quando fa ritorno ad Appleby Street, dopo una lunga giornata trascorsa tenendo la mente occupata col lavoro. Apre la porta con calma e per un attimo gli sembra di sentire il profumo di Rebecca, mescolato alle fiamme del camino che -per un certo periodo- ammiravano insieme ogni sera prima di andare a dormire.
Il camino è acceso e c'è qualcuno seduto sul divano, ma non è Rebecca.
A salutarlo per primo non è comunque la figura dormiente, ma un ammasso di muscoli e pelo che arriva a picchiargli il tartufo umido contro la gamba.

-Hey, buddy.

Si piega sulle ginocchia, lento ma senza timori. La cautela rispettosa dovuta alle esperienze dell'animale si è sciolta pian piano, raggiungendo la confidenza sciolta che si sviluppa tra due compagni d'arme dopo un difficile percorso insieme. Non lo ammetterebbe mai facilmente e ad alta voce, ma si è affezionato al cane non appena lo ha visto.
"Questa casa è troppo grande per noi due soli. Ho deciso che prenderemo due cani." 
La voce di Rebecca emerge dai sui ricordi, strappandogli un sorriso pieno di dolore. Prende tra le mani il muso del cane e si china, poggiando con la fronte su quella pelosa dell'animale. 
"Una è una trovatella abbandonata, l'ho trovata al canile. Poi c'è un pitbull: lo hanno salvato dai combattimenti clandestini ed è un cane difficile, ma noi lo prenderemo. Perché tu hai bisogno di credere che ci sia una possibilità di redenzione. Che si può cambiare, si può imparare ad essere migliori. Che non è tutto nero o bianco senza via di salvezza."  
L'american pitbull lo guarda: negli occhi azzurri sembra viaggiare una consapevolezza umida che non ha bisogno di parole. E' come se sapesse. Come se Duke percepisse il suo dolore e di certo può percepire l'assenza di Rebecca, da una casa che lei ha lasciato perché Lucas non era stato in grado di capire.  
In realtà si sono trovati: l'avvicinamento tra uomo e animale è stato un processo lento;  figlio dell'istinto e del reciproco riconoscimento. Hanno entrambi troppe cicatrici sul corpo e ancora di più sotto la pelle, invisibili all'occhio. Entrambi tendono a  non fidarsi degli sconosciuti: l'addestramento alla famigliarità è stato lungo, faticoso.  E' arrivato a chiudersi nella sua gabbia con lui e mangiare da una ciotola uguale a quella per Duke, per spingerlo ad avvicinarsi senza troppa paura. 
Duke non ha mai legato veramente con Mags -la trovatella adottata da Rebecca-, ma ha sofferto la mancanza di Lucas ogni giorno dopo la sua partenza. 
Non è un caso che lei lo abbia invitato a riprenderlo con sé, pur temporeggiando sul suo invito a tornare a dividere la stessa casa. 
"Diamoci tempo. Non...voglio abituarmi ancora a dormire insieme a te e aspettare che tu sparisca di nuovo."
Il destino ha uno strano senso dell'umorismo, e mentre Liam O'Connell si desta e si alza dal divano, mugugnando qualcosa sul ritardo dell'amico, Lucas Black pensa alla crudeltà insopportabile di una vita senza di lei.
"Resta qui. Per favore ti voglio qui." Gli ha detto, nel soggiorno della sua casa tutta spigoli e linee rette che Lucas ha odiato dal primo istante.
E' rimasto. Ha scelto lei, perché non esiste altra scelta possibile.
Non immaginava che sarebbe stata lei a sparire, solo pochi giorni dopo.

giovedì 21 aprile 2016

There's no easy way out

Il telefono squilla nel cuore della notte e lui risponde al volo, riconoscendo il numero della sede. E' in attesa di notizie da Rebecca ed è in ansia. Abbassa il volume della tv e raddrizza il busto, alzandosi dal divano.

 - Becks, dammit. Era ora ti facessi viva, stavo iniziando  a...

Ma non è Rebecca. E' semplicemente il peggiore dei suoi incubi che prende forma, malignamente richiamando alla memoria ciò che lei ha detto il giorno in cui è tornato, presentandosi alla sua porta.
 " Ti voglio qui. Per favore resta qui. Voglio esserci se ti succede qualcosa e voglio che tu ci sia, quando succederà a me."

- Qui è la Superhuman Control Force, è il Guardian Prime Jamie Parker che parla questo è il contatto di emergenza della Direttrice Rebecca King, pertanto è mio compito avvertirla...
- Parker, sono Black.  Cos'è successo?

Il Guardiano tace, quando si rende conto della persona con cui sta parlando. C'è un momento di silenzio in cui viaggiano di pari passo sorpresa e consapevolezza. Lucas lo realizza amaramente: sono stati talmente discreti che persino nella Force le persone al corrente della loro relazione si contano sulla punta delle dita. O di un dito solo. Forse solo Hoover sapeva -sa- cosa significhi per lui Rebecca e in quale dannato inferno stia per cadere.

- Black, non sapevo fossi tu. Ce la fai a raggiungermi in sede? E' meglio se ne parliamo di persona.
- Dammi 10 minuti.

Saranno i dieci minuti più lunghi della sua vita, almeno sino al momento della verità. Poi, il suo mondo crollerà inesorabile, lasciandolo con una manciata di occasioni perse e la folle, ostinata speranza di poterle recuperare tutte.

domenica 17 aprile 2016

History repeating

Fort Bragg, Carolina del Nord
Giugno 2022

 L'eco dei respiri sciolti nell'orgasmo si dissolve lentamente nella stanza in penombra. Nell'aria, il profumo del sesso si mescola al rimpianto. Una massa di capelli castani gli solletica il torace e labbra morbide trovano la strada per risalire dalle sue clavicole umide di sudore sino al collo e trovargli poi l'orecchio destro. Mani femminili si arrampicano sulla scala delle costole e sulla pelle tesa del torace in espansione.

- Non hai perso il tuo tocco.

Una voce calda di donna, arrochita dalla soddisfazione che illumina gli occhi verdi cui appartiene. Un brivido intenso, capace di risvegliare nell'immediato ciò che si era appena assopito, lo costringe a ghermirla e affondare le dita nella carne morbida dei glutei. Riapre gli occhi, risalendone le curve attraverso il velo umido del piacere appena consumato. Smuove le gambe sotto di lei, scalciando debolmente il disastro di lenzuola sfatte. La guarda a lungo, serrando le labbra in una linea tesa quanto i solchi che gli disegnano la fronte.

- Non avremmo dovuto, Bells.
- Perché no? Il sesso è sempre stato fantastico tra noi. Lo è ancora.

Lei lo rassicura con un sorriso impertinente. Ammicca e si china sfuggendo al suo sguardo per catturare tra i denti il lobo dell'orecchio. E' il suo corpo a reagire per lui -ma l'anima e la testa sono in subbuglio-, e Isabella gli sbuffa sulle labbra, provocatrice. Sposta le mani sui suoi fianchi, per spostarla lentamente e costringerla a guardarlo negli occhi.

- Non ha alcun senso. Hai tradito me con lui. Abbiamo divorziato anche per questo. Ora tradisci lui con me? Dove ci porta?
- Jees, Luc! Ti preferivo quando stavi zitto. 

Lo rimprovera, tornando a chinarsi su di lui per imporgli un bacio in grado di minare pesantemente quel briciolo di determinazione che stava raccogliendo dentro di sé.

- Quindi, ora stai zitto. Mh?


***


Philadelphia, 2023


E' il primo sabato sera di libertà da quando ha ripreso servizio e sta godendosi la quiete del salone in penombra, le fiamme crepitanti nel camino e un documentario storico sugli Orsi Bianchi. La notte è scesa e nei giardini di appleby street già scintillano le prime gocce di rugiada quando qualcuno bussa alla porta. Un'occhiata all'orologio gli conferma che sono quasi le undici, ma il forcepad è silenzioso e non attende nessuno. Rebecca King è fuori chissà dove e ancora non l'ha mai portata a casa, sicchè e con cauta curiosità che si avvicina alla porta, per scutare dallo spioncino la presenza oltre l'uscio.

La silhouette inconfondibile di Isabella Duncan ex Black si staglia nell'alone caldo della luce esterna. 

-Hai intenzione di aprirmi o mi lascerai qui fuori a lungo? Ho portato la cena.

Prende un lungo respiro e apre la porta, facendosi di lato per agevolarle l'ingresso. La guarda e non dice nulla, limitandosi ad un silenzio crucciato che disegna solchi orizzontali sulla fronte.
- Non sembri contento di vedermi.
- Che cosa ci fai qui?
- Avevo un impegno da queste parti e ho pensato di fare qualcosa per salvarti dalla noia.
- A volte mi chiedo per quale motivo tu abbia voluto divorziare.
- E il fatto che tu abbia bisogno di chiedertelo non depone a tuo favore. Com'on, mi mancavi e sono qui. 

Gli si avvicina con il passo felpato di una pantera in caccia, e con la stessa sensuale eleganza cerca di cingergli il collo, spingersi contro di lui e sedurlo con un bacio. Quel che non si aspetta è che le venga offerta una guancia ispida di barba invece della bocca sempre avida che ricorda. Nuova è anche la tensione diffidente, di negazione, che pervade i muscoli di Lucas e lei può percepire con chiarezza sotto le dita.
Ritrae il viso e sbatte le palpebre un paio di volte, per guardarlo meglio negli occhi. Non può sapere a chi appartenga il viso che lui ha stampato nella testa ormai da mesi, ma ne percepisce presenza e si indispettisce.
Affila lo sguardo, gli fa sentire le unghie sulla pelle. Quei sentimenti che per anni lo hanno legato a lei si agitano e lo fanno rabbrividire ma, dopo tanto tempo, le catene sembrano sciogliersi. E' un processo lento, silenzioso ma inesorabile. Lucas respira. Lei si irrigidisce.

- What?
- No, Bells. Qualunque cosa tu avessi in mente: no.
 



giovedì 14 aprile 2016

Could, Should, Would.

2018
Kabul; Afghanistan
Ambasciata Americana


- Sei sicura di volerlo fare?
Lucas Black osserva la donna di fronte a lui, scrutandone il viso illuminato dalla luce del mattino che filtra attraverso i vetri del palazzo ospitante l'ambasciata americana a Kabul. Sfiora il metro e ottanta e ha l'ardire di sfidarlo con gli occhi, rivolgendogli uno di quei sorrisi affilati con cui è stata capace di irretirlo.
- Hai dei ripensamenti, Black?
Il sopracciglio sinistro inarcato e le braccia conserte al petto chiedono una risposta, e una soltanto.
Non è impegnativa, la verità che gli esce dalla bocca.
- No. 
- Bene, perché nemmeno io ne ho.
Isabella Duncan gli si avvicina, osando sfiorargli la guancia ruvida con le nocche dopo un rapido esame tattico del corridoio oltre la porta aperta. Il decoro è parte necessaria del loro lavoro, e i regolamenti causa di quello che accadrà di lì a breve. Dopo 3 anni di team nelle SF e quasi 2 di clandestinità, il matrimonio cambierà ogni cosa.
Le sorride, chiudendo dietro i denti un grumo di emozioni che nemmeno riesce ad ingoiare. Muove un mezzo passo in avanti, ruotando il capo così da poter sfiorare con le labbra le dita della donna.
- E' confortante. Non sarebbe stato carino presentarmi da solo davanti al Colonnello.
- Io accetto di sposarti e tu lo trovi solo confortante? Non è un grande inizio.
- Oh, you know what I meant!
Isabella sorride, sottile e affilata come una lama tra le più pericolose. Qualunque cosa le passi negli occhi, si tratta di pensieri affidati al silenzio; forse promesse complici di un futuro mai noioso.
- Il nostro cambio sarà qui a minuti. Il volo per Fort Bragg  parte tra un'ora. 
Le ricorda, esalando un sospiro più lungo dei precedenti. La guarda negli occhi abbastanza a lungo perché lei possa comprendere, senza chiedere.
- Lo so. E' il nostro ultimo rientro insieme.
- Cambierà tutto.
- Saremo sposati.
- Ci vedremo meno di prima.
- Ma sarà un sesso fantastico.
Lucas la guarda e scrolla la testa, arrendendosi ad un sorriso. 



2021 - Fort Bragg
Carolina del Nord


Fuori, il sole tramonta ed scompare lentamente all'orizzonte, amara e struggente metafora di un matrimonio ormai spento.
Il soggiorno della villetta loro assegnata dall'esercito a Fort Bragg è invaso da un silenzio carico di tensione. Lucas Black osserva sua moglie e contina a trovarla meravigliosamente bella, nonostante tutto. Questa consapevolezza lo ferisce in modi che non riuscirebbe a descrivere ed acuisce la rabbia per quanto è accaduto.  Isabella è in divisa, con i capelli -ora castani- legati in una coda tirata sulla nuca e un'espressione indecifrabile dipinta sul viso. In piedi, a pochi passi l'uno dall'altra, si fronteggiano come avversari e senza più traccia dell'antica complicità.
Non ci sono nemmeno piatti che volano -ormai il servizio è andato- o insulti. E' tutto quieto, fin troppo. Come i titoli di coda di un film senza lieto fine.
 
- Non possiamo più andare avanti così.
- Continui a ripeterlo, e non so cosa intendi.
- Non parli mai. Tu non mi parli più. Non ci parliamo più!
Isabella lo accusa, ma c'è altro nascosto tra le pieghe di quelle labbra tese e nel fondo verde del suo sguardo. Una lama tagliente che -non per la prima volta nell'ultimo periodo- è ora rivolta verso di lui.
- What the hell. Ancora con questa storia? Non posso parlarti delle mie missioni, lo sai!
- Già, le tue missioni. Non ci sei mai. Sei sempre da qualche parte a rischiare la vita e quando torni non riesci nemmeno a parlare di quello che ti tiene sveglio la notte.
- Non posso! E tu lo sai. Come sai che ti amo e che sarebbe stata dur...
- Sono stanca di aspettarti.
- Wh...cosa intendi dire?
- Che voglio il divorzio. 
- Stai scherzando? Se è uno scherzo è di pessimo gusto.
Ma la luce negli occhi verdi di sua moglie gli procura un brivido gelido lungo la schiena, insieme allo shock nel comprendere la verità. 
Lei sembra stanca, ma ogni fibra del suo corpo sprigiona rabbia, verso di lui e un oceano di promesse infrante.
Lucas alza la mano destra, fa un mezzo passo in avanti e tenta di ricolmare quella crepa insinuatasi tra loro senza che quasi se ne rendesse conto.
- Belle, possiamo trovare una soluzione, insieme.
Isabella si passa una mano sul viso, sospirando tra le dita allargate. Abbassa lo sguardo solo un istante, ma quando riprende a parlare cerca gli occhi di Lucas con una determinazione feroce, e un gelido distacco nella voce.
- Non ci sono soluzioni. Ti ho tradito, Lucas.
La sorpresa toglie il fiato, quanto un pugno allo stomaco. Sgrana gli occhi e la guarda, attonito.
- Cos...?
- Non ti è chiaro? Sono stata a letto con un altro. E voglio il divorzio.



martedì 12 aprile 2016

I woudn't. I have to.

12 Aprile 2024
Siria

Al-Shaykh Maskin non è solo una città; non è solo un centro nevralgico per la comunicazione tra Damasco e Daraa. Si tratta di un agglomerato urbano un tempo funzionale ed ora teatro di uno scontro sanguinario che perdura da più di un decennio e ancora non vede vincitori: solo brandelli di umanità sconfitta.


I ribelli siriani si scontrano con le forze armate e conquistano vicendevolmente frammenti di città sempre più sgretolati, tra edifici sconnessi e cadaveri mutilati da colpi di mitraglia e bombe in una rappresentazione tangibile e quasi surreale di ciò che avviene sul tabellone del Risiko tra due avversari decisi a conquistarsi l'ultimo lembo di terra necessario alla dominazione globale.



Lucas Black si avvicina cautamente al luogo del rendez vous con il suo contatto e, mentre scavalca i resti anneriti di un veicolo militare divelto da una bomba e saccheggiato dai ribelli, ripensa a quante e quali promesse abbia infranto il giorno in cui ha deciso di tornare.

E' partito con il cuore pesante e la gola chiusa dal dolore. E' partito con un biglietto stropicciato infilato nella tasca della giacca -è ancora lì- e la testa piena di interrogativi ai quali ancora non ha capito se -davvero- voglia una risposta.

E' salito sull'aereo con i nervi tesi, i muscoli annodati dalla rabbia e stiletti conficcati negli occhi. Si è lasciato alle spalle una casa troppo vuota, e l'angoscia di un'assenza che fa più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare. La sorpresa ha anestetizzato il dolore solo per pochi istanti. La crudeltà di un tempismo imperfetto, capace di fargli avere una convocazione urgente proprio il giorno in cui lei se n'è andata, ha fatto il resto.

"Hai giurato"



La voce di Rebecca è un eco nella mente; si confonde con gli scricchiolii degli edifici fatiscenti che sta costeggiando, attento a non fare rumore; a non farsi sentire. La voce di Rebecca alimenta il senso di colpa e si scontra con il senso del dovere e un giuramento più antico, prestato ai Berretti Verdi quando ancora aveva solo vent'anni.
Le Forze Speciali non si abbandonano mai, a meno che non siano loro ad abbandonare te. E non è questo il suo caso. E' troppo prezioso; lo è diventato anche di più da quando i superumani telepati si sono uniti alle fazioni in guerra ed il suo cervello si è dimostrato immune ai loro trucchi.
 
Ci ha messo un mese a riprendersi dall'ultima missione, e ne porta ancora i segni sul corpo. Avvicinandosi alle coordinate del rendez vous, coglie il bagliore di un riflesso su uno degli edifici a nord. Potrebbe essere nulla, ma l'istinto gli dice che non è così. Si abbassa in fretta, scomparendo alla vista del cecchino prima che faccia fuoco. Il proiettile cade alto, si conficca nel muro lì dove solo un paio di secondi prima stava la sua testa. 
Stringe la destra sul calcio dell'arma e la sinistra al petto, sul taschino in cui giace il biglietto trovato in casa il giorno stesso in cui gli hanno chiesto di ripartire. 
Ora, sgattaiolando all'interno di un edificio in grado di offrirgli copertura, si chiede se questa volta  sarà in grado di tornare. Se lei abbia provato a cercarlo. Se abbia trovato la lettera. Se un giorno riuscirà a darle quella scatola nascosta nel cassetto del comodino, dietro la pila dei fazzoletti stirati. Se ci sia ancora un futuro per loro, oltre quei proiettili a punta cava che cercano di terminare il suo presente.
Se quella busta che ha lasciato sul tavolo della cucina sia stata aperta oppure no.